La calma apparente del voto europeo
E finalmente eccoci arrivati alla scadenza elettorale europea. Ci si è arrivati piuttosto in sordina, senza grandi dibattiti, con pochi confronti televisivi e, soprattutto, avendo sentito ben poche proposte sui temi europei.
Queste elezioni sono principalmente un modo per verificare i rapporti di forza tra gli schieramenti dei singoli Stati. Il potere decisionale dell’eleggendo Parlamento Europeo sarà come sempre irrisorio e non solo perché le decisioni più importanti saranno assunte, come noto, dalla Commissione Europea.
I 26mila lobbisti
A Strasburgo e a Bruxelles, infatti, sul modello statunitense, quasi a sottolineare il vassallaggio della UE a Washington, operano la bellezza di circa 26 mila lobby, di cui a malapena la metà iscritta nel cosiddetto “Registro per la Trasparenza”.
L’attività di questi gruppi di pressione è ben lungi dal poter essere controllata pienamente, come ha dimostrato la vicenda del Qatar gate. Quanto possano influire sui parlamentari le istanze dei cittadini di fronte ai “benefits” offerti dai lobbisti si può facilmente immaginare.
Eppure la UE tiene molto alla partecipazione al voto, al punto da elargire il regalino pre-elettorale del taglio dei tassi da parte della BCE, con modalità che ricordano le trovate di Achille Lauro.
Un taglio di appena 25 punti, con Christine Lagarde che si è affrettata a mettere le mani avanti, avvisando che “la strada sarà accidentata”. Insomma, giusto un contentino concesso a ridosso delle elezioni per far vedere agli Europei quanto sia buona e generosa la UE.
Un voto che preoccupa
E allora bisogna correre a votare in massa per legittimarla e dimostrare la fede in questo organismo burocratico. Il timore di una crescita dell’astensionismo porta a queste furbate illusorie.
Ma c’è un altro spettro che agita i sogni degli eurocrati: la crescita dei movimenti anti-sistema. Un universo estremamente variegato di soggetti politici che spazia tra chi dichiaratamente ambisce all’ uscita dall’UE e chi si limita a volerla riformare, magari tornando ad un presunto spirito delle origini.
Non a caso, in un’Unione che non riesce ad unificare nemmeno le date delle votazioni, hanno fatto rumore gli exit polls di giovedì in Olanda, con grande enfasi del risultato della coalizione Laburisti-Verdi guidata da Frans Timmermans, autore delle più scellerate follie del Green Deal. I rosso-verdi olandesi hanno guadagnato appena un seggio in più del Partito della Libertà, critico verso la UE, e tanto è bastato per far parlare di miracolo e di inversione di tendenza, nemmeno quel singolo seggio fosse lo specchio esatto dei futuri assetti dell’intero parlamento di Strasburgo.
Insomma, il sistema comincia a scricchiolare, a dispetto della propaganda che continua a mostrare una UE ben salda e faro di progresso per il mondo intero.
Vessazioni e guerra
La realtà parla di continue vessazioni alle quali i suoi cittadini sono sottoposti da quasi un quarto di secolo, a cui si stanno aggiungendo, sempre più dense ed oscure, le nubi della guerra.
Le commemorazioni del D-Day, condite da spericolate ricostruzioni storiche, sono state un’esibizione di muscoli dell’Occidente di fronte al “nuovo Hitler” Putin.
Le ripetute provocazioni soprattutto di Francia, Stati Uniti e, recentemente, Germania fanno parte di un film già visto, che passa attraverso la ricerca ossessiva di un pretesto per giustificare l’ennesima guerra dei buoni contro i cattivi di turno.
Nel frattempo i cittadini europei vengono preparati gradualmente, a colpi di boutades di questo o quel politico che diventano parziali ammissioni, poi dichiarazioni ufficiali, quindi intenzioni condivise dai vari leaders occidentali.
Insomma una perfetta applicazione della finestra di Overton, uno schema che funziona a meraviglia. Almeno fintanto che gli Europei non decideranno di svegliarsi e prendere in mano il proprio destino.
Raffaele Amato
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