10 Febbraio: il giorno del ricordo – “Folle vendetta[…]atroci crimini che non hanno giustificazione alcuna”. Con tardiva resipiscenza, nel 2011, a Pola il Presidente della Croazia Ivo Josipovic e l’allora Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano così definirono i massacri degli italiani perpetrati sul confine orientale da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA (sevizi segreti militari jugoslavi) sul finire del secondo conflitto mondiale.
Erano italiani
Quanti furono davvero i nostri fratelli istriani, fiumani, dalmati infoibati: forse cinquemila, forse il doppio o il triplo e quanti i profughi da quei territori: circa 350 mila. Cacciati dalle loro case, dalle loro cose, dalla loro terra e molto mal accolti anche quando arrivarono in Italia. Vittime di una operazione di “pulizia etnica”.
Nel corso del settembre-ottobre del 1943 e, in misura molto più ampia, durante la primavera del 1945, le foibe rappresentarono il simbolo di una tragedia spaventosa che colpì la popolazione giuliano-dalmata.
Tito il carnefice
Migliaia di italiani, militari e civili, vennero uccisi dai partigiani di Tito ed i loro corpi furono gettati in parte in queste voragini naturali, in parte nelle fosse comuni o in fondo all’Adriatico, oppure non tornarono dai vari luoghi di prigionia. In alcuni casi, com’è stato possibile documentare, furono infoibate persone non colpite o solo ferite.
Tratto comune di questo dramma fu la quasi totale mancanza di notizie delle persone deportate che sparirono senza lasciare traccia.
Il termine “foiba” divenne, nel tempo, rappresentativo della fine di tutte le migliaia di persone scomparse senza dare più notizia di sé. Uccise a seguito della violenza scatenata da elementi del Movimento Popolare di Liberazione jugoslavo. Molti vennero fucilati o comunque eliminati durante la loro deportazione, altri morirono per malattia, per stenti o per le esecuzioni sommarie di cui furono vittime nei lunghi periodi di detenzione nelle carceri o nei campi di concentramento nelle varie regioni della Jugoslavia. Non indifferente è in particolare il numero di coloro, che dopo il loro arresto, furono uccisi anche parecchi mesi dopo la fine della guerra dagli organi di polizia jugoslavi.
Il dramma dei profughi
Non vanno dimenticati, poi, le centinaia di migliaia di profughi costretti ad abbandonare tutti i loro beni per sfuggire alla occupazione delle truppe dell’Armata Popolare jugoslava che già dai primi giorni di maggio del 1945 aveva di fatto separato quei territori dal resto dell’Italia.
Su un totale di circa 500.000 italiani che abitavano all’epoca nei territori passati sotto la sovranità jugoslava, la grande maggioranza scelse di abbandonare le proprie case per trasferirsi oltre confine e comunque per vivere in un Paese occidentale.
L’incubo comunista
Il passaggio ad un regime di stampo comunista, le imposizioni sul piano economico, politico, sociale, amministrativo, religioso e culturale indussero gli abitanti a perdere tutto ciò che possedevano pur di fuggire da una realtà percepita come ostile e pericolosa. L’introduzione della lingua slovena e croata obbligatorie, l’azzeramento delle consuetudini sociali e delle tradizioni, la criminalizzazione della vita religiosa, un senso di completa estraneità alla nuova realtà furono i fattori decisivi. La politica degli ammassi, le confische dei beni, il cooperativismo, il «lavoro volontario», la socializzazione forzata, contribuirono a far crollare la base economica di molte persone privandole del necessario sostentamento.
L’apparato repressivo poliziesco instaurò un clima di tensione e sospetto che portò alla negazione delle libertà individuali fondamentali. Molti cittadini furono bollati come “nemici del popolo” e subirono angherie ed abusi di ogni genere, patendo il capestro della cosiddetta giustizia popolare, con processi farsa e condanne spesso del tutto spropositate ed immotivate.
I partiti conniventi
Una sorta di tacita complicità, durata decenni, tra le forze politiche centriste da una parte, e quelle di estrema sinistra dall’altra, ha fatto sì che una simile tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni.
Il primo a deporre una corona su una foiba, a Basovizza nel 1975, fu il Presidente Leone. Gli sloveni protestarono e la bruciarono.
Solamente dopo il 1989, con il crollo del muro di Berlino e l’implosione del comunismo sovietico, incominciò ad aprirsi qualche crepa nell’impenetrabile diga del silenzio.
Il 3 novembre 1991 l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga si recò in pellegrinaggio alla foiba di Basovizza e, in ginocchio, chiese perdono per un silenzio durato cinquant’anni.
Il riconoscimento istituzionale
Finalmente, dal 2005, anche queste vittime hanno un giorno consacrato alla loro memoria. Recita così la legge 30 marzo 2004: “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Il 10 Febbraio 1947, infatti, venne firmato, a Parigi, il Trattato di pace in conseguenza del quale venne sancita la cessione di buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia di Tito e l’abbandono di numerose città della sponda orientale dell’Adriatico dove l’elemento italiano era percentualmente maggioritario.
Film e fiction
Nel 2005 la RAI trasmise una miniserie sulla tragedia delle foibe: “Il cuore nel pozzo”. Nel 2018 è uscito il film: Red Land sulla vita della giovane studentessa istriana Norma Cossetto, violentata e uccisa dai partigiani jugoslavi nell’ottobre 1943, all’età di 23 anni.
A poco a poco la coltre di silenzio che, per troppo tempo, era calata sulla tragedia delle terre orientali italiane, divenne sempre più sottile e finalmente tutti abbiamo potuto conoscere quante sofferenze dovettero subire gli italiani della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia.
“…anche dopo cinquant’anni non si può dimenticare, ascolta in silenzio la voce delle onde, ti porterà ancora verità profonde perché in Dalmazia non ti sembri strano anche le pietre parlano italiano…” (Compagnia dell’anello).